L’82 è un’annata superba e Giacomo prova in barrique il vino di una vigna chiamata dell’Uccellone, per via della proprietaria della cascina, una signora in età, alto molto più della media, diritta, austera, con un grande naso a mo’ di becco, sempre vestita di nero.
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Il Bricco dell’Uccellone, dopo due anni, esce e si decreta un trionfo.
E’ un vino in tutto estremo: la sua uva è stata vendemmiata a metà ottobre, la vigna ha reso 65 quintali, che diventano 44 ettolitri per ettaro, la macerazione a contatto con le bucce dura ventidue giorni, e il mosto viene continuamente, attentamente, rimontato. Poi va in barrique per dodici mesi, ma Giacomo è attento a scegliere la botte giusta perché legno e annata sono strettamente complementari e connessi e bisogna trovare il giusto equilibrio. Poi ancora oltre un anno si affina, orizzontale, in bottiglia.
Ha colore rosso rubino con sfumature viola in gioventù e granata nella maturità; profumo ricco, sontuoso e poliedrico, ampio e molto ben strutturato, ricordi di piccoli frutti rossi molto maturi, spezie, vaniglia e liquirizia. Di sapore asciutto e generoso, di buon corpo, di notevole struttura, carattere deciso in grande morbidezza, lunghissima persistenza, gran classe: sono queste le parole che i grandi della degustazione usano per definirlo, parole che tradotte nel linguaggio dei semplici significano solo che si tratta di un vino grande, adatto non solo ad accostarsi ai grandi piatti di carne come gli altri nobili piemontese, ma capace di reggere, in perfetta solitudine, alla meditazione.
In Italia arriva André Tchelistcheff, russo di California, per assaggiare questo vino di cui tutto il mondo sta parlando, e, per una buona parte, sta deridendo all’idea che un vino proveniente da uve barbera possa essere un grande vino. L’anno successivo al Vinitaly le 9.800 bottiglie sono tutte prenotate e Giacomo vede i francesi, i tedeschi, gli americani assaggiare e comprare Barbera a prezzi soltanto pochi mesi prima assolutamente impensabili.
Rocchetta, la pazza Rocchetta Tanaro, diventa ancora una volta meta di pellegrini laici che vogliono conoscere questo vino e il suo produttore, e mamma Caterina c’è ancora.
(“Giacomo Bologna”, Nichi Stefi, pp 69-71)
Pubblicato il 20 Marzo, 2019