Sul Bricco dell’Uccellone potrei scrivere un libro, tanti sono i ricordi che mi legano a Giacomo, ad Anna e ai figli Beppe e Raffaella.
Quando ho assaggiato il primo Bricco? Ero a militare, nella caserma di Castello d’Annone e il direttore del giornale al quale collaboravo, Elio Archimede, mi chiese di andare ad una cena a casa di Antonella Bocchino che presentava le sue grappe da vitigni rari. Ci andai titubante: era la mia prima cena pubblica e per l’occasione lucidai le scarpe nere di ordinanza dell’aviazione. Giacomo era insieme a Veronelli e al conte Riccardi e quella sera si bevve il Bricco del 1982. Fu lì che Giacomo mi chiese una promessa, che ho sempre mantenuto, da 30 anni: “Se tu sei di Masio per venire a casa mia devi fare sempre la strada dei Mogliotti”. Era un invito vero: “Se vuoi capire il vino, il mio vino, devi condividere la terra che entrambi conosciamo. E’ la terra dei nostri, la terra della giovinezza, la terra che è come una casa. E devi battere sempre quella strada: che è quella delle radici, la strada maestra”.
Io il Bricco lo bevo sempre, religiosamente, a Natale, coi migliori amici, con mia moglie e coi miei figli.
Ma dentro di me conservo tre ricordi, due sono pubblici e uno è intimo.
Il primo ricordo pubblico: nel maggio del 1993, tre anni dopo la scomparsa di Giacomo (il giorno di Natale del 1990; una settimana dopo il 31 dicembre nasceva il mio secondo figlio Marco, che chiamai Marco Giacomo), decisi di ricordarlo organizzando un treno d’epoca, a vapore, che avrebbe fatto il giro dei luoghi dove lui ci aveva fatto conoscere persone, prodotti. Venne persino la Rai a seguire quella comitiva cha partì da Asti, poi Rocchetta Tanaro, Alessandria, Mortara, Serralunga di Crea e di nuovo Asti. Un treno con 300 persone e 5.000 alle stazioni. Un trionfo incredibile, dovuto alla grandezza, alla generosità di Giacomo, con talmente tante sorprese, gratuite, da decidere che quell’esperienza non l’avrei più fatta, perché era un pezzo unico che doveva rimanere nella storia. Mia moglie alla sera mi disse: “Ti ho visto felice!”. Chi avrebbe mai immaginato che da quel treno sarebbe nato il Club di Papillon, un movimento di consumatori, che mosse i primi passi proprio dal modo che mi aveva insegnato Giacomo di gustare la vita. Nacquero così le giornate di resistenza umana. E una la facemmo a Rocchetta, qualche anno dopo, con Angelo Gaja che raccontò pubblicamente e teatralmente un sogno: “Ho visto Giacomo con Napoleone, e lui pretendeva di fargli bere il Bricco dell’Uccellone”.
Il secondo ricordo pubblico è della primavera del 1995 quando decisi di organizzare una degustazione dei primi 10 anni del Bricco dell’Uccellone. C’erano 100 persone prenotate e in prima fila il campione Alberto Tomba. Come location, scegliemmo la chiesa sconsacrata di Santa Caterina. Piovigginava al mattino presto; sarà stato un caso, non lo so, ma quando andai al cimitero a trovare Giacomo insieme col medico del paese Paolo Frola, si aprì un raggio di sole. E lì mi misi a piangere come un bambino. Per l’occasione Angelo Gaja si offrì di prestarci 1.000 bicchieri di cristallo Riedel. La degustazione venne condotta dal conte Riccardi, con l’assistenza di Franco Martinetti, detto Martino. Fu una degustazione memorabile, e il conte aveva scelto di descrivere le varie annate di Barbera con la misura dei reggiseni, fino alla quinta. Ma quando toccò al Bricco del 1982, l’ultimo dell’assaggio e il primo della serie, nel silenzio assoluto di quelle chiesetta di campagna esclamò: “Signori, questo è un vino da letto”. La gente alzò la testa dal bicchiere che stava annusando, per capire meglio, e il conte si mise a gridare: “Sissignori, questo è un vino che fa venir voglia di fare all’amore!”. In quel momento mi presi la testa fra le mani e mi coprii gli occhi: l’applauso a scena aperta con la gente in piedi fece tremare i 1000 bicchieri di cristallo Riedel. Pensai a una tragedia. Ma non ne se ruppe neppure uno.
Il terzo ricordo è intimo. Ora, quel giorno dei 10 anni del Bricco, Anna, Beppe e Raffaella, mi regalarono una cassetta con le 10 annate. E non mi sembrava vero. Dissi a Beppe: “Ma queste non le aprirò mai”. E lui, severo, mi guardò negli occhi e mi disse: “Allora ridammi indietro la cassetta”. Gli promisi, come promisi a Giacomo della strada dei Mogliotti, che le avrei aperte una ad una, per momenti particolari. E così feci. Ora, la bottiglia di Bricco dell’Uccellone del 1982, la aprii dieci anni fa. Era il 24 febbraio del 2005, lo stesso giorno in cui, 44 anni prima, era mancata la mia sorellina gemella. Ma quel giorno era anche quello del funerale di uno che mi fu padre, don Luigi Giussani. Quella bottiglia l’avevo tenuta per lui, per quando sarebbe tornato a casa mia. Ma non fece in tempo. Lui conosceva molto bene il Bricco e ricordo ancora quando gli consegnai di persona a Natale una magnum del 1997. Era un padre che amava la vita quanto la amava Giacomo, e quella sera con gli amici aprii proprio quella bottiglia. Aveva 33 anni, come gli anni di Cristo. Ed era una bottiglia intonsa, rorida di freschezza, di rosa passita, di sapori e odori della nostra terra. Era un’immensità. Dei miei Bricco 1982 quello fu il più buono mai assaggiato prima. Una Barbera di 33 anni, così perfetta, così grande, era una cosa che rasentava l’incredulità. Fu come assaggiare una promessa. La promessa che la vita merita d’essere vissuta, perché dentro, la vita, ha sempre la sorpresa, come un vino buono, di incontrare dei maestri. Così è stato Giacomo, così il don Gius.
Così lo sono stati tanti: W il Bricco dell’Uccellone.
(Paolo Massobrio – giornalista)
Pubblicato il 17 Aprile, 2020